Hai mai avuto la sensazione di trovarti in relazioni sentimentali che tendono a ripetersi sempre uguali? Ti sembra che le tue relazioni finiscano tutte allo stesso modo, anche se le persone coinvolte cambiano? Hai l’impressione di attirare sempre lo stesso tipo di persone sbagliate? Ti senti ripetere spesso frasi come “ te le vai a cercare” o “sembra che te li scegli con il lanternino?”. Se hai risposto sì a una o più domande, potresti trovarti dentro un “copione affettivo”, senza esserne consapevole. Probabilmente questo ti infastidisce, ma prima di dire “non è colpa mia, non lo faccio apposta, guarda che non mi diverto, non volevo che finisse così anche questa volta” ti chiedo di leggere.
In questo articolo parliamo di:
- Cosa sono i copioni o giochi relazionali
- Cos’è il “triangolo drammatico” vittima – salvatore – carnefice
- Come uscire da una relazione tossica?
Cosa sono i copioni o giochi relazionali
Quando parliamo di “copioni” o “giochi” relazionali intendiamo modelli automatici di funzionamento: sono strategie, schemi o modalità di comportamento che una persona apprende fin dall’infanzia. Si tratta dei “modi migliori” che aveva a disposizione per mantenere vivo e in salute il legame affettivo con la madre e il padre.
Ad esempio, se hai vissuto in una famiglia in cui hai sempre percepito la vulnerabilità emotiva di un genitore, oppure quella fisica (nel caso di una lunga malattia), potresti aver imparato prenderti cura di quel genitore perchè lo ami e ne hai percepito il bisogno, la fragilità. Avrai sbilanciato il modo di essere felici insieme attraverso costanti comportamenti da “piccolo adulto”. Quando questo comportamento si attiva, porta a inibire la “parte bambina” che invece vorrebbe non solo essere coccolata, ma desidera anche, come è normale che sia, essere più spontanea e libera di combinare qualche pasticcio: questo accade quando senti che quella “parte bambina” sarebbe in qualche modo di ostacolo nella relazione con una mamma o un papà fragile.
Secondo Eric Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale, “il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”.
Un “gioco” psicologico o relazionale ha sempre alcune caratteristiche:
- Ripetitività: ogni persona gioca il suo copione “preferito” più e più volte perché è quello con cui ha più familiarità e, involontariamente, sceglie sempre lo stesso tipo di partner.
- Inconsapevolezza: la persona mette in scena il “copione” o “gioco” senza rendersi conto della propria corresponsabilità nel generare e mantenere il circolo in cui si trova.
- Scambio di ruoli: come vedremo, quando tra due partner che giocano in ruoli complementari arriva una crisi, c’è la tendenza a invertire i ruoli (oppure a “giocare” un altro ruolo ancora) nel tentativo di arginare il dolore e di proteggersi dall’altro.
Il più famoso dei copioni che danno vita alle relazioni tossiche è quello descritto da Stephen Karpman, il cosiddetto “triangolo drammatico” che si gioca benissimo anche in due.
Cos’è il triangolo drammatico
Il triangolo drammatico prevede i ruoli di vittima – salvatore- carnefice (o persecutore). Di solito le coppie che si trovano incastrate in relazioni tossiche sono caratterizzate da un duo vittima/salvatore oppure un duo vittima/carnefice. Raramente due partner che vivono aderendo ad uno di questi copioni dolorosi si scelgono tra simili. Nessuna di queste è una dinamica relazionale alla pari, che è tipica invece delle coppie che funzionano in maniera sana. Sono tutte relazioni in cui c’è un partner per qualche motivo dominante e un partner che sceglie di sottostare all’altro.
La Vittima
Si presenta in scena proclamando una vita zeppa di fallimenti, sfortune, colpe e responsabilità attribuite al caso o agli altri. La vittima spesso tende a raccontarsi come incapace, un vero e proprio fallimento, e si presenta come una persona passiva, mite, apparentemente incapace di mettere se stessa e i propri desideri al centro della propria mente. Nonostante desideri ardentemente una vita da protagonista, finisce per restare dietro le quinte.
La vittima ha paura: paura del fallimento, paura dell’abbandono, paura di perdere la propria identità se effettivamente qualcosa dovesse davvero cambiare. La paralisi e il “congelamento” della propria esistenza sono inconsapevoli strategie di evitamento. L’idea di “stare bene” fa paura, anche se spesso la persona non se ne rende conto. La rabbia, intesa come emozione che è anche un motore all’azione, è spesso completamente inibita e non c’è.
Non è raro che la vittima arrivi da storie familiari infelici, da famiglie dove si racconta o tramanda una sorta di identità collettiva: “quelli sfortunati”. Spesso la persona si sente in colpa anche al solo pensiero di sganciarsi dal copione familiare e di essere più felice delle generazioni che l’hanno preceduta. Per mantenersi in un ruolo “fallimentare” la vittima tende a cercare relazioni con persone che si prenderanno cura di lei e non le faranno assumere responsabilità di alcun tipo. Di solito sono scelti i partner salvatori. Il mantra inconsapevole della Vittima è “chi è felice o sa cavarsela da sé, verrà tenuto lontano dagli altri a cui tiene”.
Il Salvatore
Come abbiamo visto nell’introduzione a questo articolo, il salvatore arriva spesso da famiglie dove è stato indispensabile inibire lo slancio vitale e la leggerezza incosciente del bambino. Genitori fragili, genitori malati, lutti o eventi traumatici che gli adulti non hanno saputo gestire in autonomia, rendendoli agli occhi dei più piccoli estremamente bisognosi di cure. Il bambino o la bambina che assume il ruolo di salvatore si accolla come un “piccolo adulto” la responsabilità di farsi carico del fardello della famiglia, frenando o bloccando quelli che sarebbero i propri bisogni e desideri.
Apparentemente sempre desideroso di occuparsi degli altri, il salvatore sembra fatto per trovarsi partner di cui occuparsi con dedizione e cura. La tendenza compulsiva ad aiutare e ad essere riconosciuto dalle altre persone nel proprio essere sempre presente, rinforza il mantra inconsapevole “solo chi è utile sarà amato”. Se l’altro si sottrae per qualche motivo all’aiuto, il salvatore può scivolare nel ruolo di vittima o passare aggressivamente al ruolo di carnefice.
Il Carnefice
La persona che segue il copione del carnefice spesso arriva da famiglie verbalmente o fisicamente aggressive, molto conflittuali. Proprio nel luogo che dovrebbe essere, almeno in teoria, il posto in cui ci si può mettere a nudo, vulnerabili, in modo spontaneo, il bambino o la bambina impara invece che proprio nel legame e nell’intimità si celano i pericoli peggiori: la sottomissione e l’umiliazione, se ti fai vedere per come sei. La rabbia, che in certi tipi di famiglie è l’unica emozione “sicura” da provare perché ti fa percepire come una persona forte, è l’unica emozione riconosciuta e legittimata.
Non è raro che la rabbia sia una sorta di sostituto alla vergogna, alla paura o alla tristezza, emozioni sentite come scomode e pericolose dal bambino e dal sistema familiare, perché attinenti a una dimensione emotiva di fragilità e bisogno. Il mantra inconsapevole del carnefice è “la fragilità e la vicinanza emotiva sono un pericolo”.
Il carnefice, spesso attratto dalla vittima per la facilità con cui da entrambe le parti ci si riconosce in maniera del tutto involontaria nella dinamica “comandante-comandato”, potrebbe scivolare nel ruolo della vittima stessa se l’altra persona dovesse sganciarsi dal ruolo di sottomesso.
La caratteristica del “triangolo drammatico” è la tendenza allo scambio di ruoli all’aumentare della sofferenza nella coppia: Karpman lo chiama “scarto drammatico”. Qui tendono a incagliarsi tutte le coppie che vivono relazioni tossiche. Ad esempio, un salvatore che cerca di salvare inutilmente una vittima dal proprio destino avverso a un certo punto potrebbe sentirsi impotente nella propria fatica a vuoto, fino a diventare il carnefice. La vittima a quel punto potrebbe invertire i ruoli passando nello stato del salvatore, o diventare a propria volta un carnefice dell’altro.
Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori:
essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti.
(William Shakespeare)
Come uscire da una relazione tossica?
Come avrai intuito, non si esce da una relazione tossica da soli, senza chiedere aiuto: per uscire da un copione affettivo è necessario guardarsi con occhi nuovi e riconoscere quali sono i ruoli e i comportamenti che mettiamo in atto. Il primo passo, quindi, è lavorare sulla storia personale da cui arrivi e diventarne consapevole. Scoprire quali bisogni e quali paure hanno plasmato alcune parti di te, che agiscono nella relazione con gli altri. Capirai così a quali bisogni profondi sta rispondendo la tendenza a scegliere sempre lo stesso tipo di partner “sbagliato” e a finire dentro una relazione tossica. Magari ti piace saperlo: a livello tecnico, si tratta di un lavoro sulla tua “carriera sentimentale”.
Se desideri guardare più a fondo e trovare le tue risposte, per uscire dal copione e fare delle scelte sentimentali più sane, puoi iniziare con un primo colloquio psicologico: capiremo insieme cosa vuoi e se io posso esserti d’aiuto.
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