Sentiamo parlare tanto di emozioni, in moltissimi ambiti diversi: ma sappiamo davvero cosa sono le emozioni e perché è così importante conoscerle, riconoscerle e utilizzarle? Per prima cosa, possiamo chiederci il significato delle parole che usiamo.
Il termine “emozione” è arrivato a noi attraverso il francese émotion, che a sua volta viene dal latino classico emovere: significa muovere (movere) fuori (e-), quindi spostare dall’interno all’esterno, espellere, “buttare fuori”. Questo ci suggerisce qualcosa dell’effetto delle emozioni: uno scossone, un movimento, un’agitazione.
Per capire cosa sono le emozioni, iniziamo da una premessa, un assunto di base spesso frainteso: le emozioni non sono un fatto mentale. Non nascono nel cervello sotto forma di pensieri che attraversano la mente (come “Ho paura”, “Che ansia!”, “Quanto mi fa arrabbiare questa cosa!”).
In questo articolo:
A cosa servono le emozioni
Le emozioni sono una dotazione biologica innata che appartiene, con diversi gradi di complessità, a tutti gli esseri viventi. Hanno lo scopo di favorire la sopravvivenza e l’adattamento all’ambiente circostante. Ad esempio, addirittura alcune reazioni di “ritrazione” delle foglie che sembrano verificarsi nei vegetali sono una testimonianza arcaica di questo funzionamento, perché suggeriscono la presenza di un intrinseco sistema di difesa della minaccia, simile a quello che nei rettili e negli animali più complessi, come i mammiferi, è diventato parte del “circuito della paura”.
Per questo, le emozioni sono prima di tutto un fatto fisico. Nascono nel corpo come sensazioni localizzate in uno o più distretti: poi diventano, almeno in noi esseri umani, anche un fatto cognitivo (a patto di saperle riconoscere, identificare e comprendere). Spesso accade, invece, che una persona sia in grado di riconoscere solo la la sensazione fisica, “orfana” del suo significato emotivo: questo può generare molta preoccupazione, con il conseguente tentativo di “silenziare” la sensazione stessa attraverso controlli medici, che spesso risultano infruttuosi.
Le emozioni in psicoterapia
Una parte molto importante del lavoro da fare insieme in psicoterapia (specialmente nella prima fase, ma non solo) è dedicato proprio all’esplorazione attiva degli stati somatici, ovvero le sensazioni percepite in risposta a certi accadimenti, nella vita quotidiana. Si inizia a “prendere confidenza” con quelle sensazioni, per conoscerle, distinguerle e dare loro un nome, in modo da capire cosa ci stanno chiedendo di fare o di non fare.
Le emozioni, proprio perché molto spesso sono connesse con stati che causano fastidio o dolore, chiedono di essere ascoltate con urgenza. Sono messaggeri che portano informazioni molto preziose per la sopravvivenza del “Sé”: allontanati, avvicinati, scappa, proteggiti, tollera. Le emozioni parlano spesso di bisogni insoddisfatti, di pericoli mortali temuti, di mancanze inespresse. Può capitare che gli esseri umani passino tutta la vita a scappare dal dolore, nella speranza che si dissolva da solo: non sanno, invece, che dovrebbero dare ascolto alle emozioni, perché meno le si ascolta più ci si condanna a rimanere nella sofferenza. Anche se ignoriamo il dolore, dietro alla nostra distrazione le emozioni continuano a urlare sempre più forte, nel tentativo farsi ascoltare.
Ѐ un po’ come mettere la mano sul fuoco: il dolore allerta i circuiti motori del braccio, in modo da allontanare subito la mano, e noi lo facciamo senza nemmeno esserne consapevoli. Quando non ascoltiamo le nostre emozioni, perché vorremmo evitare di sentire certe note dolenti dell’anima, è come se continuassimo a tenere quella mano sul fuoco, cercando di distrarci nel frattempo: rischiamo di ustionarci in profondità, senza rimedio.
Emozioni primarie e secondarie
Le emozioni umane sono categorizzabili in due grandi gruppi: le emozioni primarie sono funzionali alla sopravvivenza biologica dell’individuo; le emozioni secondarie, sono altrettanto necessarie a farci sopravvivere all’interno del gruppo di appartenenza e si sviluppano con l’interazione sociale.
La nostra specie, infatti, è particolarmente bisognosa di connessione con gli altri e di appartenere “al branco” per far fronte ai pericoli: questo dipende dalla lenta maturazione del cervello umano, che raggiunge il pieno sviluppo solo intorno ai 20 o 25 anni (con la conclusione della mielinizzazione dei lobi frontali).
Se hai avuto modo di vedere il film d’animazione Inside Out, probabilmente già conosci quelle che molti teorici considerano emozioni primarie:
- gioia
- rabbia
- paura
- disgusto
- tristezza
Tutte le emozioni hanno uno scopo legato alla sopravvivenza della persona.
Rabbia
Spesso confusa con l’aggressività (che è invece una delle reazioni fisiologiche alla paura) la rabbia non è un’emozione violenta, al contrario di quel che si potrebbe pensare: il filosofo Friedrich Nietzsche la chiamava “l’emozione della determinazione”. La rabbia è quello stato psicofisico carico, energetico, caldo, che dirige l’organismo a raggiungere la propria meta rimuovendo gli ostacoli sul cammino. Ѐ l’emozione dei confini, della reazione ai soprusi, della ribellione alle ingiustizie.
Gioia
La gioia riguarda la soddisfazione, la pienezza, il piacere. Ѐ la conclusione estatica della rabbia: quando hai raggiunto il tuo obiettivo puoi godere dell’euforia che senti e che, proprio perché è fisicamente piacevole, ti permetterà la volta successiva di impegnarti nuovamente verso la meta che desideri raggiungere, per provarla ancora alla fine della tua azione, come una ricompensa.
Paura
La paura è l’emozione che ci allerta rispetto a minacce presenti nell’ambiente. Lo scopo è aiutarti a difenderci oppure scappare dalla situazione pericolosa. Ansia, che ne è sorella sul piano fisiologico, è invece un’emozione composita: nel corpo è avvertita come paura, ma in più ha una componente cognitiva anticipatoria sul futuro. Il pensiero dentro ansia vuole farci prevenire le catastrofi future che potrebbero verificarsi se non ci attiveremo per scansare la minaccia ipotizzata.
Disgusto
Ci ripara dal rischio di ingurgitare qualcosa di tossico, finendo per ammalarci o morire a causa della nostra avventatezza. “Anche se è rossa e sembra succosa e io ho bisogno di ingurgitare calorie, ma ha un verme o è ammuffita, io non mangerò quella mela” ci suggerisce il disgusto. Negli esseri umani è spesso silenziato da emozioni secondarie, quelle sociali, tanto che spesso ci accorgiamo del nostro mal di stomaco, per quel che abbiamo ingurgitato (anche in senso metaforico) solo quando stiamo già terribilmente male. In terapia è una delle emozioni che più spesso deve essere riabilitata all’ascolto, insieme alla rabbia.
Tristezza
La tristezza è l’emozione delle perdite, delle mancanze, della fine. Di solito è l’emozione del lutto, in cui ci si sente fragili e bisognosi di ritirarsi in sé, in solitudine. Una delle sue funzioni principali è segnalare agli altri esseri umani che abbiamo bisogno di aiuto o conforto in un momento di difficoltà. Spesso le persone sono abituate a nasconderla e a non farla vedere, per ragioni che hanno a che fare con la nostra cultura, ma la tristezza, come tutte le emozioni, non può essere eliminata: va riconosciuta e sperimentata, per imparare a maneggiarla con cura.
Esistono poi le emozioni secondarie, che sono spesso poco conosciute e vengono confuse tra loro, poiché possono avere alcuni gradi di sovrapposizione. Tuttavia, sono anche molto diverse l’una dall’altra: per quello che è il mio modo di lavorare, è essenziale che nella stanza della terapia le persone le conoscano e riconoscano, per potersi riconciliare con se stesse.
Tra le emozioni secondarie, da conoscere e approfondire, possono esserci:
- vergogna
- invidia
- ansia
- umiliazione
- colpa
- speranza
- gratitudine
Anche se parlare di emozioni è affascinante, concludo questo articolo ricordandoti che il luogo migliore per esplorarle in relazione al proprio vissuto personale e per comprendere quali sono le sensazioni con cui si manifestano nella nostra vita, è un percorso di psicoterapia. Se provi il desiderio di approfondire questo tema, puoi valutare di contattarmi per un primo colloquio: insieme capire se posso accompagnarti nell’esplorazione.
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