19 Ott 2018

Ho sposato Barbablù: la violenza sulle donne

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Da bambina nessuno mi aveva letto la fiaba di “Barbablù”. Crescendo l’ho trovata, per caso, in una raccolta di favole illustrate ereditata da una delle mie zie: ricordo con vividezza la paura che provavo di fronte alle immagini di quell’uomo dal volto crudele e dalla lunga barba bluastra che accompagnavano le pagine della storia scritta da Charles Perrault. Da adolescente, quando mi sono appassionata allo splendido “Donne che corrono coi lupi”, di Clarissa Pinkola Estes, avevo molto apprezzato la rilettura della fiaba in chiave psicologica. Adesso, da mamma di due figlie femmine e da psicologa psicoterapeuta che lavora spesso con donne di tutte le età, alle prese con relazioni sentimentali “sbagliate”, ne colgo pienamente il significato più profondo: non l’intento moralistico di ammonire le giovani fanciulle per la propria curiosità, ma l’occasione di parlare alle bambine e alle ragazze di come ci si può proteggere da uomini sbagliati e di come si può uscire da relazioni pericolose.

In questo articolo parliamo di:

La violenza di genere

Come ha scritto Clarissa Pinkola Estes, “tutte le creature devono imparare che esistono i predatori”. I fatti di cronaca degli ultimi anni parlano chiaro: dietro l’omicidio di una donna, dietro ad abusi e a violenze di genere, raramente c’è un estraneo, un mostro, il Lupo Cattivo incontrato per caso vagando nella foresta. Molto più spesso ci sono figure familiari, intime, tenute lungamente vicino a sé, anche se qualcosa nel corpo cerca invano di avvertire le donne del pericolo, lanciando segnali per mesi o anni. Può essere un partner con una forte impulsività e incapace di tollerare la frustrazione di un “no”, che diventa violento o aggressivo, nelle parole o negli atti fisici. Può essere una persona emotivamente immatura, che esercita il bisogno di controllare in ogni momento la propria compagna e di limitare la sua libertà, per paura di “perderla”. Può essere un partner che vuole essere al centro del mondo e che ha bisogno di sentirsi come la stella più brillante del firmamento: se non è sul piedistallo, se viene lasciato, sprofonda in una vergogna inaccettabile e violenta, incapace di gestire il dolore.

Siamo abituati ad ascoltare i resoconti dei media, in cui gli episodi di femminicidio e di violenza sulle donne vengono descritti come situazioni insospettabili o “raptus” (come se ci fosse una specie di “interruttore” che dal nulla fa diventare improvvisamente pericolosa e violenta una persona): nella realtà questo non accade, non c’è nessun interruttore on/off. Nella stanza della terapia, quando si lavora sulle dinamiche disfunzionali di coppia, ci si accorge che i segnali premonitori ci sono sempre: crisi di rabbia non gestite o gestite male; un insulto pesante “ogni tanto”; un gesto violento subito ridimensionato; insinuazioni o commenti umilianti “buttati lì” tra un discorso e l’altro, partner “impermeabili” e incapaci di comprendere i bisogni dell’altra persona o di riconoscere se stanno causando del dolore con le proprie azioni. Di fronte alle violenze verbali o fisiche, la reazione naturale è preoccuparsi per la persona che le subisce, proteggerla dal carnefice, stringersi attorno alla parte che viene percepita come debole e vulnerabile: in un percorso di terapia, però, questo non basta per cambiare la situazione.

Affrontare la violenza sulle donne nella psicoterapia

Nel mio lavoro clinico ho imparato che, anche di fronte al racconto di atroci abusi protratti per anni senza alcun tipo di reazione, la simpatia e il conforto non aiutano a modificare una relazione sbagliata o una dinamica sentimentale così drammatica. C’è invece una domanda in grado di aprire molte porte: “come mai per te è così importante continuare a restare lì dentro?”. Spesso, infatti, le persone che rimangono a lungo in relazioni sbagliate o pericolose, hanno attivi dentro di sé alcuni meccanismi difensivi che possono essere molto radicati.

Il primo è la tendenza ad auto invalidare se stesse – “non posso fare affidamento su ciò che sento” – e a giustificare sempre i comportamenti del partner. Nella narrazione delle donne che stanno con un compagno violento, esiste spesso la convinzione che l’altro abbia una reazione aggressiva “perché è stressato”, oppure “perché è stata anche colpa mia”, o ancora “perché magari sono io che sto esagerando” (come se quel tipo di comportamento violento fosse “normale” e le proprie sensazioni di allarme viscerale fossero invece ingiustificate, fuori luogo o eccessive).

Il secondo meccanismo di difesa è la tendenza all’amnesia o dismnesia di tutte quelle situazioni in cui il partner è diventato violento o disregolato. Una parte di sé, in questi casi, tende a cancellare i vissuti più dolorosi che riguardano le azioni compiute dall’altra persona, a minimizzare o a dissociare, prendendo le distanze da quello che è accaduto. Questo crea un “buco” nella memoria e nella narrazione: ad esempio la discussione avvenuta il giorno prima, in cui il partner ha dato uno spintone oppure ha tirato un pugno al muro, sparisce dal cassetto dei ricordi della vita di coppia.

Queste parti del sé, come altre che sono oggetto di osservazione terapeutica, sono meccanismi di difesa che spesso hanno radici profonde e potenti nella propria infanzia, nella storia di attaccamento con le figure principali della propria vita: sono le parti che sostengono questo tipo di dinamiche sbagliate e relazioni tossiche, su cui però è possibile lavorare in un percorso di psicoterapia, imparando a conoscersi meglio.

Capire perché ci si innamora di Barbablù

Cosa sarebbe successo alla fanciulla nella fiaba di Barbablù se si fosse concessa uno spazio di ascolto per le proprie sensazioni viscerali? Se avesse potuto decodificare e dare fiducia alle emozioni di paura e repulsione verso quella minacciosa barba blu? Se avesse potuto allearsi con se stessa, difficilmente avrebbe scelto di rimanere così a lungo in quella situazione pericolosa (in effetti, anche le sue sorelle maggiori avevano provato diffidenza per quell’uomo così inquietante).

Anche se non è opportuno generalizzare, spesso le partner ideali dei Barbablù o dei Lupi Cattivi, sono state bambine ferite nel proprio senso di amabilità interiore. Sono donne che hanno imparato a percepirsi indegne di amore: “c’è qualcosa in me di sbagliato”, “non merito nulla di buono”, “non merito quelle attenzioni”, ma anche “se esprimo i miei bisogni rischio di perdere l’altro” o “i miei bisogni sono pericolosi”. Esplorando le storie di vita non è così inusuale incontrare madri fragili (che magari hanno cercato nelle figlie un appoggio, invece che essere un porto sicuro), padri in qualche modo simili a Barbablù, atmosfere di vita familiare e di coppia che lasciavano un sapore amaro o avevano l’odore pungente della paura.

Se stai leggendo questo articolo e in qualche modo senti che ti riguarda, non continuare a ignorare i segnali del corpo: un mal di stomaco molto forte, un attacco di ansia o di tachicardia, una certa difficoltà a dormire, un senso di inquietudine e pesantezza all’idea di tornare a casa la sera, insieme al partner. Non rimandare nei giorni buoni, quelli in cui “sembra che vada bene”: non è detto che tu stia esagerando e non devi aspettare, perché queste situazioni non migliorano mai da sole.

Se ti senti in pericolo, puoi rivolgerti a un centro antiviolenza della tua città per ricevere aiuto da figure competenti a livello psicologico, giuridico, assistenziale. Se senti il bisogno di un supporto, lo spazio sicuro della psicoterapia può aiutarti a dare ascolto a te stessa e capire perché stai resistendo, anche se il corpo sta cercando di avvisarti in tutti i modi: per un primo colloquio psicologico, io ci sono.

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Agnese Fiorino

Agnese Fiorino

Mi chiamo Agnese Fiorino. Sono una Psicologa, una Neuropsicologa ed una Psicoterapeuta. Mi occupo di affiancare in un cammino dentro l’anima coloro che vogliono darsi la possibilità di provare a trasformare la vita che hanno in quella che desiderano. Conosciamoci meglio

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