Da bambina nessuno mi aveva letto la fiaba di “Barbablù”.
Crescendo l’ho trovata, per caso, in una raccolta di favole illustrate ereditata da una delle mie zie: ricordo con vividezza la paura che provavo di fronte alle immagini di quell’uomo dal volto crudele e dalla lunga barba bluastra che accompagnavano le pagine della storia scritta da Charles Perrault.
Da adolescente, quando mi sono appassionata allo splendido “Donne che corrono coi lupi”, di Clarissa Pinkola Estes, avevo molto apprezzato la rilettura della fiaba in chiave psicologica.
Adesso, da mamma di due figlie femmine e da Psicoterapeuta che lavora spesso con donne di tutte le età alle prese con relazioni sentimentali “sbagliate”, ne colgo pienamente il significato più profondo: non l’intento moralistico di ammonire le giovani fanciulle per la propria curiosità, ma l’occasione di parlare alle bambine e alle ragazze di come ci si possa imparare a proteggere da partner sbagliati e di come si possa uscire da relazioni pericolose.
In questo articolo parliamo di:
- Violenza di genere
- Affrontare la violenza sulle donne nella psicoterapia
- Capire perché ci si innamora di Barbablù
La violenza di genere
Come ha scritto Clarissa Pinkola Estes “tutte le creature devono imparare che esistono i predatori”. I fatti di cronaca degli ultimi anni parlano chiaro: dietro l’omicidio di una donna, dietro ad abusi e a violenze di genere, raramente c’è un estraneo, un mostro, il Lupo Cattivo incontrato per caso vagando nella foresta.
Molto più spesso ci sono figure familiari, intime, tenute lungamente vicino a sé, anche se qualcosa nel corpo cerca invano di avvertire le donne del pericolo, lanciando segnali che però finiscono spesso per essere inascoltati, sminuiti o messi in dubbio dalla donna stessa per mesi o per anni.
Può essere un partner con una personalità impulsiva, non di rado con condotte socialmente devianti, che diventa rapidamente violento fisicamente o verbalmente di fronte a frustrazioni o contrarietà.
Può essere un partner emotivamente immaturo, che usa comportamenti di continuo controllo fisico ed emotivo del partner e che diventa aggressivo quando sente che l’altra persona inizia a sottrarsi o ad allontanarsi dopo un periodo di idillio iniziale.
Può essere un partner all’inizio seducente ed affascinante che più di tutto cerca conferme alla immagine di sè, con una bassa empatia e tratti di sociopatia latenti, che diviene pericoloso quando è in gioco la propria reputazione o la propria immagine agli occhi del mondo.
Siamo abituati ad ascoltare i resoconti dei media, in cui gli episodi di femminicidio e di violenza sulle donne vengono descritti come situazioni insospettabili o “raptus” (come se ci fosse una specie di “interruttore” che dal nulla fa diventare improvvisamente pericolosa e violenta una persona): nella realtà questo non accade, non c’è nessun interruttore on/off.
Nella stanza della terapia, quando si lavora sulle dinamiche disfunzionali di coppia, ci si accorge che i segnali premonitori ci sono sempre: crisi di rabbia non gestite o gestite male; un insulto pesante “ogni tanto”; un gesto violento subito ridimensionato dietro comportamenti riparatori; insinuazioni o commenti umilianti “buttati lì” tra un discorso e l’altro, partner “impermeabili” e incapaci di comprendere i bisogni dell’altra persona o di riconoscere se stanno causando del dolore con le proprie azioni.
Di fronte alle violenze verbali o fisiche, la reazione naturale è preoccuparsi per la persona che le subisce, proteggerla dal carnefice, stringersi attorno a chi più viene percepito come debole e vulnerabile: in un percorso di terapia, però, questo non basta per cambiare la situazione.
Affrontare la violenza sulle donne nella psicoterapia
Nel mio lavoro clinico ho imparato che, anche di fronte al racconto di atroci abusi protratti per anni senza alcun tipo di reazione, la sola offerta di vicinanza e di conforto non aiuta a modificare una relazione sbagliata o una dinamica sentimentale così drammatica.
C’è invece una domanda in grado di aprire molte porte: “come mai per te è così importante continuare a restare lì dentro?”.
Spesso, infatti, le persone che rimangono a lungo in relazioni sbagliate o pericolose hanno attivi dentro di sé alcuni meccanismi difensivi che possono essere molto radicati.
Il primo è la tendenza ad auto invalidare se stesse – “non posso fare affidamento su ciò che sento” – e a giustificare sempre i comportamenti del partner. Nella narrazione delle donne che stanno con un compagno violento, esiste spesso la convinzione che l’altro abbia una reazione aggressiva “perché è stressato”, oppure “perché è stata anche colpa mia”, o ancora “perché magari sono io che sto esagerando” (come se quel tipo di comportamento violento fosse “normale” e le proprie sensazioni di allarme viscerale fossero invece ingiustificate, fuori luogo o eccessive).
Il secondo meccanismo di difesa è la tendenza all’amnesia o dismnesia di tutte quelle situazioni in cui il partner è diventato violento o disregolato. Una parte di sé, in questi casi, tende a cancellare i vissuti più dolorosi che riguardano le azioni compiute dall’altra persona, a minimizzare o a dissociare, prendendo le distanze da quello che è accaduto.
Questo crea un “buco” nella memoria e nella narrazione: ad esempio la discussione avvenuta il giorno prima, in cui il partner ha dato uno spintone oppure ha tirato un pugno al muro, sparisce dal cassetto dei ricordi della vita di coppia.
Queste parti del sé, come altre che sono oggetto di osservazione terapeutica, sono meccanismi di difesa che spesso hanno radici profonde e potenti nella propria infanzia, nella storia di attaccamento con le figure principali della propria vita: sono le parti che sostengono questo tipo di dinamiche sbagliate e relazioni tossiche, su cui però è possibile lavorare in un percorso di psicoterapia, imparando a conoscersi meglio.
Capire perché ci si innamora di Barbablù
Cosa sarebbe successo alla fanciulla nella fiaba di Barbablù se si fosse concessa uno spazio di ascolto per le proprie sensazioni viscerali? Se avesse potuto decodificare e dare fiducia alle emozioni di paura e repulsione verso quella minacciosa barba blu? Se avesse potuto allearsi con se stessa, difficilmente avrebbe scelto di rimanere così a lungo in quella situazione pericolosa (in effetti, anche le sue sorelle maggiori avevano provato diffidenza per quell’uomo così inquietante).
Anche se non è opportuno generalizzare, spesso le partner ideali dei Barbablù o dei Lupi Cattivi, sono state bambine con alle spalle una storia di abusi, non solo in senso fisico ma anche nei termini di marcata trascuratezza e di negligenza familiare.
Esplorando le storie di vita non è così inusuale incontrare madri bambine che magari hanno cercato nelle figlie un appoggio, invece che essere il loro porto sicuro, padri in qualche modo a loro volta simili a Barbablù, atmosfere di vita familiare e di coppia impregnate dell’odore pungente della paura e della violenza.
Spesso nella relazione con le figure adulte del quotidiano emergono atmosfere di ricordi mutevolmente drammatici. A volte le scene tirate fuori dai cassetti della memoria sono dominate dal bisogno di proteggersi da adulti sentiti come terrifici e spaventanti. Altre volte emergono memorie in cui si è sentito il bisogno di rassicurare quegli stessi adulti percepiti in quel momento come fragili e spaventati. In altre memorie ancora ci si è sentite di poter danneggiare quelle stesse figure con le proprie richieste di di cura, protezione e conforto percepite sempre come eccessive o ingiustificate.
Sono donne che hanno imparato a leggersi come indegne, fallate alla radice.
Se stai leggendo questo articolo e in qualche modo senti che ti riguarda, non continuare a ignorare i segnali del corpo: un mal di stomaco molto forte, un attacco di ansia o di tachicardia, una certa difficoltà a dormire, un senso di inquietudine e pesantezza all’idea di tornare a casa la sera, insieme al partner.
Non rimandare nei giorni buoni, quelli in cui “sembra che tutto vada bene”: non è detto che tu stia esagerando e non devi continuare ad aspettare, perché queste situazioni non migliorano mai da sole.
Se ti senti in pericolo, puoi rivolgerti a un centro antiviolenza della tua città per ricevere aiuto da figure competenti a livello psicologico, giuridico, assistenziale. Se senti il bisogno di un supporto, lo spazio sicuro della psicoterapia può aiutarti a dare ascolto a te stessa e capire perché stai resistendo, anche se il corpo sta cercando di avvisarti in tutti i modi: per un primo colloquio psicologico, io ci sono.
Articolo aggiornato in data 19 novembre 2024.
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