Da bambina nessuno mi aveva mai letto la storia di Barbablù.
Crescendo l’avevo per caso trovata nella raccolta di favole illustrate ereditata da una delle mie zie: ricordo con vividezza la paura che provavo di fronte alle immagini della piccola chiave piena di sangue e di quell’uomo dal volto crudele e dalla lunga barba di colore bluastro che accompagnavano le pagine della storia di Perrault.
Da adolescente, appassionatami come molti in quel periodo allo splendido libro della Dr.ssa Clarissa Pinkola Estes, “Donne che corrono con i lupi”, ne avevo apprezzato la rilettura in chiave psicologica.
Adesso, da mamma di due figlie femmine e da Professionista che spesso lavora con donne di tutte le età alle prese con relazioni sentimentali “sbagliate”, ne colgo pienamente il senso più profondo, quello che già da adolescente mi aveva affascinato quando avevo letto per la prima volta quel libro che poi, insieme ad altri, avrebbe contribuito alla mia scelta Universitaria alcuni anni dopo.
Se infatti nella versione originale di Perrault lo scopo del racconto è moralistico e ricorda secondo alcune interpretazioni il Peccato Originale di Eva, ossia ammonire le fanciulle dall’esercitare la curiosità propria della loro natura, la storia si presta ancora meglio come pretesto oggi per parlare alle nostre figlie di come imparare a gestire i rapporti sentimentali, di come fare a proteggersi da uomini sbagliati e di come uscire da storie pericolose.
“Tutte le creature devono imparare che esistono i predatori” (C. Pinkola Estes).
I fatti di cronaca degli ultimi anni parlano chiaro: dietro l’omicidio di una donna, dietro ad abusi ed a violenze raramente c’è un estraneo, un mostro occasionale, il Lupo Cattivo incontrato per caso vagando nella foresta.
Molto più frequentemente ci sono figure familiari, intime, quelle scelte tra tanti e tenute lungamente vicino a sè, anche se qualcosa nel corpo, spesso per anni interi, cerca di allertare dal pericolo invano.
Invece, come novelle Cappuccetto Rosso, molte con i Lupi Cattivi finiscono per andare a nozze, nel senso letterale del termine.
…Un partner con alta impulsività e con scarsa capacità di tollerare la frustrazione dei no ricevuti, che diventa facilmente violento ed aggressivo.
…Un partner emotivamente immaturo, con una necessità costante di controllare e di limitare la libertà dell’altra persona per non sentire di perderla, ancora non capace di prendersi cura di se stesso come un bambino piccolo che si tiene attaccato alle gambe del genitore nei momenti del distacco.
…Un partner privo di empatia, che ama essere la stella più brillante del firmamento e che quando lasciato sprofonda nella vergogna di sentirsi secondo senza sapere gestire da solo il dolore che ne deriva.
Per quanto nella rappresentazione mediatica questo tipo di dinamiche venga spesso descritto come una sorta di situazione pari ad un interruttore ON/OFF, con una persona che dal nulla improvvisamente diviene pericolosa, instabile e violenta nella realtà ciò non accade mai.
A ben guardare invece, tra le pareti dei nostri Studi, quando si lavora con coppie con dinamiche disfunzionali ci sono sempre segnali premonitori tra le righe: crisi di rabbia mal gestite qui e lì, un insulto pesante ogni tanto, prevaricazioni e commenti umilianti o sprezzanti buttati tra un commento e l’altro, un partner con una frequente incapacità sia nel comprendere i bisogni dell’altro a prescindere da sè sia nel sintonizzarsi sul dolore che sta provando a causa di una propria azione.
Per quanto di fronte a racconti di violenze subite, che siano dell’anima, del corpo o di entrambi, venga a tutti noi da stringersi attorno alla persona percepita come più debole e vulnerabile in un moto di viscerale ed umana simpatia contro il Carnefice del racconto, in Terapia con i partner di persone violente questo non è affatto sufficiente per cambiare la situazione.
La domanda da fare sempre in Terapia con i partner di persone violente
In questi anni di lavoro clinico ho imparato, anche di fronte ai racconti più atroci di abusi protratti per anni senza alcun tipo di reazione effettiva ad essi, che la simpatia ed il conforto non sono elementi essenziali per cambiare questo tipo di incastro relazionale drammatico.
Esiste invece una domanda in grado di aprire molte porte e che può portare a comprendere prima ed a cambiare poi la situazione.
Questa domanda, per quanto sembri un controsenso apparentemente, è “Come mai è così tanto importante continuare a restare lì dentro?”.
Non di rado chi resta a lungo in situazioni relazionali pericolose ha in sè alcuni meccanismi difensivi ricorrenti particolarmente pervicaci.
Il primo è la tendenza sistematica all’autoinvalidazione (Non posso fare affidamento su ciò che sento) ed all’eterogiustificazione.
Nella narrazione di chi è partner di Barbablù esiste spesso una parte del Sè che ritiene che tutto sommato l’Altro si sia comportato in maniera violenta perchè stressato, che magari ella stessa ne avesse provocato la reazione, o che quel tipo di comportamento sia invece del tutto normale e che le proprie sensazioni di allarme viscerale siano ingiustificate perchè fuori luogo o eccessive.
Il secondo è la tendenza sistematica all’amnesia o alla dismnesia di tutte quelle situazioni in cui il partner è diventato violento o disregolato.
Un’altra parte del Sè che spesso è presente e che tende a perpetuare nel tempo questo tipo di incastri relazionali drammatici è infatti una parte che tende a cancellare i ricordi più dolenti relativi alle azioni dell’Altro, minimizzandoli o proprio dissociandoli dalla consapevolezza della persona causando una sorta di trama narrativa bucata, in cui ad esempio la lite avvenuta solo pochi giorni prima in cui l’altro ha tirato un pugno al muro dietro la propria testa sparisce dal proprio cassetto dei ricordi della vita di coppia.
Entrambe queste parti, come anche altre che sono oggetto di osservazione terapeutica condivisa, sono meccanismi di difesa che, molto spesso, hanno radici profonde e potenti in quella che è stata la propria storia infantile di attaccamento con le figure principali della propria vita e con il tipo di credenze su Sè e sugli Altri maturati nel corso di quegli anni.
Spesso infatti, dietro ai diversi meccanismi difensivi attuati inconsapevolmente, esistono due dolentissime credenze negative sul Sè che sostengono e mantengono questo tipo di dinamiche relazionali.
Perchè ci si innamora di Barbablù?
Se la Fanciulla si fosse potuta concedere di dare uno spazio di ascolto alle proprie sensazioni viscerali, di poter liberamente decodificare e dare fiducia alle emozioni di paura e di disgusto verso quella minacciosa e repellente barba blu, se avesse potuto allearsi con se stessa difficilmente avrebbe scelto di restare così a lungo in quella situazione. Come la favola racconta, le sue sorelle maggiori in effetti avevano provato diffidenza per quell’uomo così tanto inquietante.
Per quanto non si possa mai generalizzare, non di rado le partner ideali dei Barbablù assassini, quelle che si accompagnano nei boschi con i Lupi Cattivi sono state bambine ferite, talvolta molto gravemente, nel proprio senso di amabilità interiore.
Ci si percepisce spesso non solo come indegne, ma anche come lesive.
La drammatica alchimia che ne deriva suona sia come “C’è qualcosa in me di profondamente sbagliato/Non merito nulla di buono”, ma anche come “Se esisto con i miei bisogni perdo l’altro/ I miei bisogni sono pericolosi”.
Nella storia di vita non è così inusuale incontrare madri sentite come fragili e mai cresciute, che hanno cercato nelle figlie un bastone anzichè essere per loro porto sicuro invertendo la fisiologia dei ruoli familiari, padri in qualche modo percepiti Barbablù a propria volta, atmosfere di vita di coppia in casa con un sapore amaro ed un odore pungente come quello della paura, che hanno fatto da stampo a modelli di amore in cui vigono dinamiche di sopruso e di potere.
Se stai leggendo questo articolo perchè in qualche modo senti che ti riguarda non continuare a distrarti dai segnali del corpo che ogni tanto bussano alla coscienza magari sotto forma di ansia, di tachicardia, di difficoltà a dormire o di inquietudine.
Non rimandare il problema nei giorni buoni, in cui tutto ti sembra che vada bene. Non è affatto detto che tu “stia solo esagerando”.
Questo tipo di situazioni non migliorano mai da sole.
Contatta un professionista che ti aiuti a capire perchè resti lì anche se il corpo dice scappa.
Rivolgiti ad un centro antiviolenza in cui poter ricevere aiuto da figure competenti su più piani: giuridico, psicologico, assistenziale.
Tutelati.
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Articolo aggiornato in data 28 agosto 2024.
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